Diagnosi della malattia di Lyme
La diagnosi della malattia di Lyme si basa in primis sul sospetto clinico derivante da sintomatologia e anamnesi del paziente.
I metodi diagnostici biologici per la rilevazione di Borrelia si suddividono in:
- METODI DIRETTI
dove si rileva direttamente l’agente eziologico o alcune sue componenti; - METODI INDIRETTI
quando si rilevano gli anticorpi che l’ospite produce contro Borrelia.
Non esiste ancora un metodo ideale per la diagnosi della malattia di Lyme, nel senso che non esiste alcun metodo che possa assicurare in ogni fase della malattia la presenza e attività di Borrelia (risultato positivo) oppure la sua assenza o inattività (risultato negativo), fatta eccezione dei rari casi in cui la diagnosi viene confermata dall’esame culturale positivo sul tessuto coinvolto (es.: Acrodermatitis Chronica Atrophicans e Miocardite).
Le tecniche soffrono di bassa sensibilità, in parte dovuta alla natura pauci batterica dell’infezione da Borrelia. Fra i metodi diretti, di cui la maggior parte non viene impiegata nella pratica clinica per la diagnosi, vanno citate la coltura che in caso positivo rappresenta la prova inconfutabile di un’infezione attiva da Borrelia e la PCR (Polymerase chain reaction) che consente di rilevare frammenti del genoma di Borrelia senza però distinguere fra organismi vivi e morti. Nel corso degli anni sono state sperimentate nuove tecniche. A causa dei limiti della sierologia nel rilevare Borrelia nei campioni clinici, sono stati sviluppati altri test tra cui i test LTT e il test EliSpot, che si basano sull’effettiva attività cellulare in relazione a Borrelia rilevando i linfociti T attivi contro essa.
Nel corso degli anni sono stati sviluppati anche test alternativi alla tradizionale PCR per il rilevamento di Borrelia quali la immuno-PCR e la PCR associata al test Luminex. Altri nuovi approcci si riferiscono al profilo metabolico per la malattia di Lyme precoce e alla misurazione dell'IFN-γ dopo l'incubazione del sangue con antigeni di Borrelia.
Prof. Serena Bonin
Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute
Università degli Studi di Trieste
La sierologia è l’unico metodo diagnostico approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) per la diagnosi della malattia di Lyme.
La rilevazione di Borrelia con altri metodi, anche se diretti, è confinata a situazioni specifiche per chiarire situazioni cliniche o sierologiche ambigue.
Recentemente in Europa sono stati approvati con il marchio CE-IVD (European Community marked-In Vitro Diagnostic Medical Devices) test PCR per la rilevazione di Borrelia in campioni clinici.
Nessuno è stato approvato dalla FDA.
Premessa
La malattia di Lyme o borreliosi di Lyme è un’infezione batterica, causata da una spirocheta appartenente al genere Borrelia, trasmessa dal morso di una zecca infetta.
I metodi diagnostici finalizzati a rilevare direttamente la presenza del patogeno nell’organismo umano (diagnosi diretta) hanno un utilizzo molto limitato, a causa delle difficoltà insite all’identificazione (con la coltura e con le metodiche molecolari) del microrganismo infettivo (Borrelia).
Nella pratica clinica la diagnosi della malattia si affida ai test sierologici (diagnosi indiretta), i quali rilevano gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario come risposta all’infezione provocata dal batterio (Borrelia) trasmesso dalla zecca.
Tali anticorpi appartengono a due differenti tipologie:
- gli anticorpi IgM (immunoglobuline M) che solitamente compaiono nel sangue a distanza di circa 2/3 settimane dall’infezione;
- gli anticorpi IgG (immunoglobuline G) che sono rilevabili successivamente, a distanza di diverse settimane dall’infezione.
In pratica IgM e IgG si comportano come una staffetta.
- Gli anticorpi IgM sono i primi a essere prodotti. I loro livelli aumentano e raggiungono il picco verso la sesta settimana di infezione, poi iniziano a diminuire.
- Gli anticorpi IgG vengono prodotti successivamente. I loro livelli raggiungono il picco dopo circa 4-6 mesi per poi diminuire gradualmente e stabilizzarsi. Sono una sorta di “memoria” con cui il sistema immunitario fissa il ricordo del batterio con cui è venuto a contatto. Per questo motivo possono essere presenti e rilevati nel sangue per molto tempo, talora anche per anni.
Da questi rapidi cenni è possibile trarre una prima, fondamentale conseguenza: la produzione degli anticorpi anti-Borrelia si sviluppa in modo lento e, per questa ragione, i test sierologici:
- sono poco sensibili nei giorni immediatamente successivi al morso di zecca;
- la loro capacità predittiva aumenta dopo le prime settimane di infezione.
Il periodo che intercorre tra l’inoculo dell’agente infettivo da parte della zecca e la rilevazione della risposta anticorpale è chiamato “periodo finestra”, durante il quale è sconsigliato ricorrere ai test sierologici per l’assenza degli anticorpi specifici anti-Borrelia.
Come funzionano i test sierologici
Per massimizzare la sensibilità (capacità di classificare correttamente i soggetti malati) e la specificità (capacità di classificare correttamente i soggetti sani) dei test sierologici viene comunemente adottato un approccio a due livelli, che prevede
- in prima battuta (screening) il dosaggio immunoenzimatico (EIA);
- a seguire, un test di secondo livello di conferma con metodica in immunoblot (in caso di esito positivo o dubbio del test EIA).
Negli ultimi anni è stato proposto (e recepito dalle principali linee guida internazionali) anche un secondo approccio, sostituendo l’immunoblot con due test immunoenzimatici EIA.
Entrambi gli approcci presentano un alto livello di sensibilità e specificità se
- indirizzati da una appropriata richiesta (supportata da un fondato sospetto clinico, anamnestico, epidemiologico);
- basati sull’utilizzo di strumenti diagnostici aggiornati;
- accompagnati da una corretta interpretazione dei risultati (che tenga conto dello stadio della malattia).
Il loro utilizzo può quindi determinare un miglioramento sostanziale dell'accuratezza diagnostica complessiva.
La Borrelia e le sue implicazioni per la diagnosi sierologica
In Europa la maggior parte dei casi di borreliosi di Lyme è causata dalla Borrelia afzelii o dalla Borrelia garinii, con una minore presenza della Borrelia burgdorferi sensu stricto, della Borrelia spielmanii, della Borrelia bavariensis e di altre specie più rare (1).
Ciascuna delle tre principali specie patogene (B. afzeli, B. garinii e B. burgdorferi), oltre a causare quadri clinici di malattia non sovrapponibili tra loro, ha una diversa distribuzione geografica nel territorio nazionale.
Quest’ultima circostanza ha importanti implicazioni nella diagnosi sierologica, in quanto i test costruiti per rilevare l'infezione di una specie di Borrelia burgdorferi, funzionano meno bene nel riconoscere l'infezione di specie diverse (2, 3).
Allo stesso modo l'esistenza di genotipi diversi all'interno della stessa specie di Borrelia burgdorferi comporta differenti effetti clinici e differenti implicazioni diagnostiche.
In primo luogo va considerato che l'esposizione a un genotipo non conferisce necessariamente immunità ad altri genotipi (4). Di conseguenza si possono avere re-infezioni nello stesso soggetto (5, 6) a seguito di diversi morsi di zecca.
Inoltre alcuni genotipi di Borrelia burgdorferi sono dotati di maggiore virulenza (7).
Ad esempio, il genotipo B. burgdorferi RST1
- ha un più elevato potenziale infiammatorio (8, 9);
- è più frequentemente rilevabile nel sangue (10, 11, 12);
- è associato a più grave malattia precoce;
- presenta tassi più elevati di Post Treatment Lyme Disease Syndrome (PTLDS), refrattaria agli antibiotici (9, 13).
I fattori di virulenza associata al genotipo, combinati con alcuni fattori del soggetto colpito dall’infezione, spiegano (almeno in parte) l'ampia variazione delle manifestazioni cliniche e la diversità di risultati dei test per i pazienti con borreliosi di Lyme (9).
Per ovviare a tale diversità e ottimizzare i test sierologici è necessario che gli stessi test siano eseguiti utilizzando materiale antigenico o epitopi coerenti con l’ecologia delle genospecie di Borrelia prevalenti nella singola area territoriale di riferimento (14-15).
Un chiarimento sui risultati dei test
Negli Stati Uniti l’interpretazione dei risultati dei test sierologici segue criteri standardizzati, resi possibili dall’esiguo numero di ceppi di Borrelia circolanti in territorio americano (viene definito positivo un tracciato che ha almeno 2 proteine per le IgM e 5 per le IgG di un pannello predefinito).
La maggiore varietà di ceppi batterici circolanti in Europa non ha consentito (fino ad oggi) la standardizzazione dei referti, lasciando all’esperienza del laboratorista il compito di interpretare i risultati del tracciato ottenuto con l’esecuzione del test.
L’evoluzione dei test di primo livello
I test di immunofluorescenza indiretta (IFA)
I test IFA, indicati ancora dalle linee guida come esami di primo livello, sono ormai sostituiti quasi ovunque dai test immunoenzimatici EIA. Gli IFA sono prodotti ponendo su un vetrino le spirochete intere (214). Dopo l'incubazione con il siero del paziente e la colorazione, il preparato viene esaminato al microscopio a fluorescenza, un processo che richiede molta manualità, una lettura soggettiva al microscopio (con minore standardizzazione) e una limitata produttività.
I test Immunoenzimatici (EIA)
I test EIA di primo livello possono essere prodotti utilizzando diverse preparazioni di antigeni.
Inizialmente i kit immunoenzimatici sono stati allestiti con cellule intere sonicate (WCS EIA), coltivando uno o più ceppi di Borrelia burgdorferi in brodo e preparando un lisato proteico dalle spirochete in coltura, in grado di legare gli anticorpi anti-Borrelia burgdorferi presenti nel sangue.
I test EIA di prima generazione:
- contenevano molti antigeni differenti ed epitopi leganti gli anticorpi anti-Borrelia burgdorferi;
- avevano un limite, rappresentato dal fatto che alcuni antigeni immunodominanti (specialmente VlsE) non erano espressi in apprezzabile quantità durante la coltura in vitro di Borrelia burgdorferi e quindi risultavano assenti o non ben rappresentati nei saggi preparati solo da lisati di coltura;
- utilizzando un unico ceppo isolato di Borrelia burgdorferi presentavano una limitata sensibilità diagnostica.
Sono stati quindi sviluppati test EIA di seconda generazione che
- hanno integrato le cellule intere di Borrelia burgdorferi e i lisati con particolari antigeni ricombinanti o purificati.
Questo ha migliorato la sensibilità dei test ma ha anche aumentato la probabilità di falsi positivi dovuti ad anticorpi cross-reattivi (varie condizioni infettive e infiammatorie sono in grado di causare reattività crociata e dare reazioni falsamente positive anche in soggetti sani) (16).
Recentemente, sono stati sviluppati test EIA di terza generazione (o "prossima generazione") che contengono solo uno o pochi antigeni.
Questi ultimi test sono preparati utilizzando proteine ricombinanti, peptidi sintetici o proteine chimeriche sintetiche, che rappresentano antigeni immunodominanti o epitopi importanti degli anticorpi prodotti in risposta all'infezione da Borrelia (17).
La possibilità di creare artificialmente gli antigeni consente di realizzare limitate porzioni di antigeni peptidici sintetici o proteine chimeriche, selezionando gli epitopi meno cross-reattivi, meglio conservati e più immunodominanti.
L’obiettivo è di eliminare molte proteine cellulari che potenzialmente possono dare falsi positivi (18), massimizzando la specificità senza sacrificare la sensibilità (19) e contribuendo ad una maggiore standardizzazione dei risultati.
Qualche specifica tecnica sui test di terza generazione
a) Saggi immunoenzimatici basati su VlsE
Diversi test EIA di terza generazione comprendono l’epitopo VlsE o una parte di esso. VlsE è una lipoproteina di superficie da 34 a 35 kDa, responsabile della capacità della Borrelia di eludere la risposta immunitaria dell'ospite durante l'infezione.
Alcuni saggi di terza generazione utilizzano VlsE ricombinante a lunghezza intera come bersaglio dell'antigene, mentre altri usano sequenze peptidiche più corte corrispondenti a epitopi specifici all'interno della molecola madre. Tra questi ultimi, il più caratterizzato è il C6 EIA, che impiega un oligopeptide (il "peptide C6") corrispondente alla sesta regione invariabile (IR-VI) all'interno di VlsE.
Questo antigene peptidico è stato un punto focale per la diagnosi sierologica perché è immunodominante ed è il più conservato tra ceppi e genospecie di Borrelia (20).
Per questo motivo nel protocollo diagnostico a due step è stato proposto come secondo test EIA in sostituzione della western blot.
Gli anticorpi anti-C6 sono prodotti durante l'infezione con tutti e tre i sottotipi genetici RST di Borrelia burgdoferi (21).
La reattività negli EIA C6 è frequentemente osservata in pazienti con infezione da Borrelia miyamotoi, come con gli EIA WCS. La Borrelia miyamotoi, una borrelia ascrivibile più al gruppo della febbre ricorrente piuttosto che una borrelia correlata alla malattia di Lyme, è anche un agente patogeno talvolta riscontrato nelle zecche del complesso Ixodes.
b) Saggi immunoenzimatici basati sulla proteina C della superficie esterna (OspC)
OspC è una lipoproteina di superficie che provoca una risposta immunitaria umorale forte e precoce (22).
Per questa caratteristica di immunodominanza è stata utilizzata da molto tempo nella diagnostica.
La proteina è codificata da un gene situato su un plasmide circolare.
A differenza di VlsE, che non si esprime fino al trasferimento della spirocheta a un ospite mammifero, OspC è rilevabile quando la spirocheta è ancora contenuta all'interno della zecca durante il pasto del parassita, (23), provocando una risposta immunitaria molto precoce nell'ospite.
Diversi EIA sono stati sviluppati utilizzando OspC ricombinante a lunghezza intera (rOspC) (24).
Va sottolineato che la risposta delle IgM all'OspC diminuisce molto lentamente nel tempo (22) e, per contro, il passaggio alla classe IgG di OspC non viene generalmente rilevato nei primi stadi della malattia.
c) Le alternative
In alternativa a OspC, sono stati effettuati test sierologici utilizzando un breve peptide sintetico (10-aminoacidi) chiamato pepC10, che corrisponde a un frammento carbossilico di OspC. Considerando che l'intera lunghezza rOspC contiene epitopi cross-reattivi (24) l'uso di un singolo epitopo (pepC10) migliora la specificità.
Un diverso epitopo OspC, l’OspC1, è stato recentemente scoperto attraverso la mappatura lineare degli epitopi e può produrre sensibilità e specificità EIA migliorate rispetto a pepC10 (25), ma al riguardo sono necessari ulteriori studi.
d) EIA singleplex che combinano rVlsE o C6 peptide con rOspC o pepC10. Multiantigene singleplex
Comprendono test EIA progettati combinando l'antigene OspC (o pepC10) con VlsE (o C6) in un singolo test, o eseguendo due test con antigene singolo in parallelo e combinando quindi i risultati (ovvero chiedendo reattività in entrambi i saggi per un'interpretazione complessiva di sieropositivi). Utilizzando questa combinazione di antigeni/epitopi, la sensibilità può essere migliorata nella prime fasi di malattia di Lyme precoce rispetto a entrambi gli antigeni testati singolarmente, sebbene a parziale scapito della specificità.
I test di secondo livello
Seguono l’esecuzione dei test EIA di screening (o primo livello) in caso di esito positivo o dubbio. Le metodiche utilizzate per i test di secondo livello sono i seguenti.
a. Metodica Western blot
ll siero del paziente viene applicato su una striscia reattiva sulla quale sono state stratificate le proteine (antigeni) della Borrelia. In caso di reazione si forma un precipitato colorato (banda).
Si tratta di evidenziare bande di specifico interesse nella risposta immunitaria nell’infezione borreliosica determinando se la loro intensità sia sufficiente per dichiararne la positività. L'interpretazione visiva dei tracciati è complessa e soggettiva. In mani esperte, il metodo è affidabile e riproducibile (26), ma nella pratica di routine si rileva una limitata riproducibilità interlaboratorio (27).
Per ridurre la soggettività nell'interpretazione dei tracciati, sono state introdotte tecniche di imaging densitometrico che misurano l’intensità della banda.
Queste tecniche sono utili per standardizzare l’interpretazione dei tracciati, anche se al momento non sono stati definiti cutoff condivisi.
b. Line immunoblots e microarray immunoblots
Rappresentano una nuova generazione di test sierologici di secondo livello. Come nel Western blotting, vengono applicati antigeni di purificati ricombinanti direttamente sulla membrana in punti definiti. La membrana è una striscia stretta e le proteine sono ordinate per peso molecolare, da questo il nome di "line immunoblot" o "ladder immunoblot".
I vantaggi sono rappresentati dal fatto che vengono selezionati e applicati sulla membrana solo gli antigeni di maggiore interesse diagnostico. Tali antigeni appaiono come bande ben separate l'una dall'altra e uniformemente distanziate nella striscia di reazione. Ne deriva una più facile interpretazione.
Per il miglioramento della sensibilità del test, è importante l’utilizzo in combinazione di antigeni derivati dalle diverse genospecie.
Una recente innovazione ha visto la sostituzione del supporto di reazione, da striscia lineare a pozzetto di una micropiastra standard realizzando un “microarray immunoblot” IgM o IgG (28).
Il vantaggio principale di questo formato, rispetto alla westerblot o line immunoblot, può essere il possibile utilizzo di strumenti ELISA per piastre di microtitolazione consentendo la completa automazione e standardizzazione del processo.
Le nuove frontiere della diagnostica
a) Saggi di rilascio di interferone gamma
Alcuni studi che hanno utilizzato saggi di proliferazione delle cellule T in-vivo, hanno dimostrato che gli antigeni di Borrelia burgdorferi stimolano l'attivazione delle cellule T nei pazienti con la malattia di Lyme (29).
L'attivazione delle cellule T porta alla produzione di citochine proinfiammatorie, in particolare l'interferone gamma che viene misurato utilizzando il test IGRA (30).
Una forte risposta di gamma interferone può essere osservata a ridosso dell’esordio dell’infezione (31) ed è possibile che i test IGRA siano in grado di rilevare l'infezione nel periodo finestra dei test sierologici. Inoltre, un recente studio ha utilizzato un IGRA per dimostrare significative riduzioni del rilascio di interferone gamma dopo terapia antimicrobica nei pazienti con eritema migrante (29).
Questi risultati suggeriscono un potenziale utilizzo dell’interferone gamma per differenziare un'infezione attiva e un'infezione passata (trattata con successo) risultando di fondamentale importanza per tutti i pazienti con PTLDS al fine di definire la corretta terapia.
Si tratta di promettenti test innovativi ma ancora in “fase di rodaggio”. Successivi studi ne chiariranno meglio le caratteristiche.
b) CXCL13
Utilizzata nella diagnosi della neuroborreliosi, è una chemochina regolata da monociti/macrofagi e cellule dendritiche, che ha come funzione quella di attrarre le cellule B verso il SNC, per promuovere una risposta immunitaria umorale locale contro la Borrelia burgdorferi (32).
Nei pazienti con meningite di Lyme acuta l'aumento di CXCL13 è rilevabile precocemente e precede la produzione di anticorpi specifici nel sistema nervoso centrale (33).
I livelli di CXCL13 sembrano diminuire rapidamente dopo terapia antimicrobica (34), rendendo questo biomarcatore più adatto per monitorare la risposta alla terapia rispetto alla misurazione della intratecale risposta anticorpale, che può persistere per mesi o anni (34).
È importante sottolineare, tuttavia, che un'elevata concentrazione di CXCL13 nel liquido cerebrospinale è associata a molte altre condizioni cliniche, infettive e non (HIV, neurosifilide, linfoma del sistema nervoso centrale e sclerosi multipla) (35).
Inoltre, i metodi e gli intervalli di riferimento non sono stati standardizzati, quindi non è ancora chiaro se la misurazione delle chemochine avrà un posto nella diagnostica clinica per la sindrome di Lyme.
Uno sguardo al (prossimo) futuro
La metabolomica
Un gruppo di ricerca (Molin et al.) ha analizzato i sieri di pazienti con eritema migrante mediante l’impiego della cromatografia liquida-spettrometria di massa per lo studio di piccole molecole di metaboliti cercando di sviluppare e perfezionare una biofirma metabolomica in grado di caratterizzare i pazienti con malattia di Lyme all’esordio (eritema migrante) (36).
I test di questo tipo hanno raggiunto l'88% di sensibilità (95% CI, dall'84 al 95%) ed il 95% di specificità (IC al 95%, dal 90 al 100%) nella classificazione di casi e controlli (36).
Si tratta di un approccio diagnostico innovativo che potrebbe classificare correttamente la maggior parte dei casi sieronegativi nel periodo finestra della malattia di Lyme (36).
Da sottolineare che in tempi recenti è stata prevista la possibilità di utilizzare per questi test anche la matrice urinaria.
…e la proteomica
Un altro gruppo di ricerca ha proposto l'uso della proteomica piuttosto che della metabolomica (37), utilizzando sofisticati strumenti di spettrometria di massa per misurare proteine sieriche di possibile interesse diagnostico.
Tali proteine comprendono:
- proteine della fase acuta dell’infezione coinvolte nella risposta immunitaria naturale;
- proteine presenti solo in specifici organi bersagliati dalla malattia di Lyme.
Lo studio ha identificato 10 proteine i cui livelli sierici sono risultati significativamente alterati in pazienti con eritema migrante acuto rispetto ai soggetti sani di controllo. La sensibilità del metodo nei pazienti con eritema migrante è stata del 75%, ma la specificità era solo del 90% (37).
Sebbene le tecniche sperimentali utilizzate negli studi proteomici e metabolomici siano, al momento, troppo complesse e costose per trovare un uso nella routine, è possibile che ulteriori studi definiscano e convalidino un elenco di biomarcatori, la cui misurazione potrebbe essere fruibile su larga scala con altre metodiche più accessibili.
Sono necessari infine studi sul valore della metabolomica o della proteomica nel secondo e terzo stadio della malattia.
Sintesi conclusiva
Nella malattia di Lyme il rilevamento dell'agente infettivo (diagnosi diretta) spesso non è possibile o pratico, pertanto la diagnosi di laboratorio si basa essenzialmente sui test sierologici.
La risposta anticorpale non è rilevabile durante i primi giorni e le prime settimane di infezione, pertanto i test sierologici non sono utili nella diagnosi dell’eritema migrante (primo stadio della malattia di Lyme), mentre risultano fondamentali nelle fasi successive della malattia (secondo e terzo stadio) (38).
E inoltre:
- i test sierologici non possono essere utilizzati per distinguere tra infezione attiva e infezione passata (trattata efficacemente) poiché la presenza di anticorpi può persistere qualitativamente anche dopo un trattamento antimicrobico efficace;
- nuovi test sono in preparazione sia per anticipare i tempi della sierodiagnosi rispetto all’esordio dell’infezione, sia per discriminare, nelle persone che restano sintomatiche dopo la terapia antibiotica (PTLDS), l’infezione ancora attiva da quella estinta.
Prof. Maurizio Ruscio
Professore del Corso di Laurea in Biotecnologie Mediche e Diagnostiche
Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute
Università degli Studi di Trieste
Presidente del Gruppo Italiano di Studio della Malattia di Lyme
Associazione Lyme Italia e coinfezioni:
è un'organizzazione di Volontariato, Ente del Terzo Settore, costituita a Milano con atto notarile nel dicembre 2015, iscritta al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore N. di Rep. 53963/2022.
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